Codex Bezae

Tra i maggiori codici latini più antichi (P66, SINAITICO od ALEPH, VATICANO o B, ALESSANDRINO od A, EFREM o C, SINOPENSIS) è quello di redazione più recente perché la critica lo data al primo quarto del V e non oltre il VI secolo.

Codice BezaeLa sua caratteristica principale è data dal fatto di essere bilingue con testo a fronte: sul "lato d'onore", quello sinistro, c'è il testo greco dal quale segue la traduzione latina. Lo scrivano, però, durante la copiatura del testo doveva averne sotto gli occhi uno antico, più antico dei manoscritti del IV secolo (cd. "grandi onciali"), più antico ancora dei papiri della famosa collezione BODMER che risalgono alla fine del II od agli inizi del III secolo.
Infatti, la calligrafia del testo greco è un po' esitante rispetto a quella latina, più fluente, e, quindi, se ne deve dedurre che non era quella praticata abitualmente dallo scriba. Inoltre il greco utilizzato rispetta una fonetica antica, assai prossima a quella in auge nel corso del I secolo, non più utilizzata all'epoca della copiatura del manoscritto, e conserva la primitiva ortografia, segnali tutti del massimo rispetto del testo originale.

Se, dunque, la redazione del manoscritto non può essere anteriore al V secolo, di contro il testo greco da cui è stato copiato è antico, anzi antichissimo, soprattutto per ciò che concerne il vangelo di Luca, probabilmente il più antico di tutti quelli riportati nel codice.

Molto si è discusso sulla sua provenienza e la sua origine: Egitto, Roma, sud Italia, Sicilia, Sardegna e nord Africa sono stati invocate, e quest'ultima provenienza è quella che, in passato, ha avuto maggior credito. Peraltro, il codice deve il suo nome per essere appartenuto al riformatore religioso calvinista del XVI secolo, discepolo prediletto e successore di CALVINO, TEODORO DI BEZA, noto anche per essere collezionista di codici antichi, che ne fece dono, nel 1581, all'università di Cambridge.

Teodoro di BezaScarse sono le notizie storiche anteriori al possesso del manoscritto da parte di Teodoro. L'esame paleografico del testo ha permesso di evidenziare alcune caratteristiche della sua redazione. Molte pagine devono essere state riscritte nel tempo; infatti la composizione dell'inchiostro nero in quelle parti è identico a quello di un manoscritto preparato nello "scriptorium" di FLORO DIACONO, vescovo di Lione, attivo nel IX secolo. Alcuni versetti del testo latino si ritrovano, con le stesse identiche particolarità, nelle citazioni del Martirologio di ADO composto, sempre a Lione, verso la metà del IX secolo.
Da quanto è stato rilevato in alcune fonti storiche sembra che il codice fosse conosciuto sin dalla fine del II secolo, al tempo di SAN GIUSTINO e di SANT'IRENEO; infatti, il nome del vescovo martire a Lione è rimasto attaccato a questo testo non solo per il luogo di produzione (la valle del Rodano) e di conservazione (chiesa dedicata al santo) ma anche per le citazioni dal codice delle quali è disseminata la sua più famosa opera (Contra Haereses). Proprio per il fatto che il manoscritto era la copia di un più antico testo greco, non è improbabile che, Ireneo, discepolo del vescovo POLICARPO - successore dell'APOSTOLO GIOVANNI - originario di Smirne ed arrivato a Lione negli anni intorno al 170 d.C., abbia portato con sé l'originale greco, poi riversato nel codice Beza. Nel IX secolo, Christian DRUTHMAR, nativo dell'Aquitania e monaco a Corbie (Corvey) ne attesta l'appartenenza a SANT'ILARIO (315-367 d.C.), vescovo di Poitiers. [1]

Oltre alla mano del primo copista ci sono correzioni fatte da altre mani alcune, probabilmente, contemporanee al testo originale altre riguardano annotazioni liturgiche successive o le Sortes Sanctorum, formule sacre utilizzate per attrarre la fortuna; tutte queste aggiunte sono importanti per tracciare la storia del manoscritto.

Poi il mistero più fitto sembra essere calato sul manoscritto e per un periodo di ben sette secoli, dalla fine del IX al XVI secolo, l'oscurità sembra essersene impadronita avvolgendolo nel suo scuro manto. Beza stesso sosteneva, nella sua lettera di accompagnamento all'Università di Cambridge che, il prezioso codice, era stata sottratto all'oblio, durante la guerra contro gli Ugonotti del 1562, dal monastero di sant'Ireneo a Lione, dove, sempre a suo dire, era rimasto a coprirsi di polvere.

Stemma di Giovanni XXIDa una nota del libro su san Gerolamo, opera del vescovo di Amelia, MARIANO VITTORI, (1566), è noto che, nel marzo 1547 e nella sessione di Bologna, il codice era stato usato anche al Concilio di Trento da WILLIAM DUPRé, vescovo di Clermont in Auvergne, per confermare una lezione latina del vangelo del papa GIOVANNI XXI ("si eum volo manere") relativa al celibato e che si trova soltanto nel testo greco di questo codice.
Nel 1550 è stato parzialmente utilizzato nella Edizio Regia dello STEFANUS ed, infine, nella varie edizioni del Nuovo Testamento (1582, 1589 e 1598) di Teodoro di Beza. [2]

Dopo la donazione all'Università di Cambridge, il codice è stato studiato nel 1583 dall'arcivescovo JOHN WHITGIFT e la sua, peraltro scarsa, traduzione è conservata, dal 1604 presso il Trinity College.

Agli albori della prima critica sui testi del Nuovo Testamento furono fatti degli studi (JEAN LECLERC, 1689 - RICHARD SIMON, 1689 - RICHARD BENTLEY, 1691) e furono preparate collazioni del codice: nel 1657 ad opera dell'arcivescovo JAMES USHER per la London Polyglot Bible di BRIAN WALTON; nel 1707, dopo la sua morte, apparve l'opera del dr. JOHN MILL per il Novum Testamentum Graecum; nel 1732/33 quella di JOHN DICKINSON e, infine, la migliore traduzione di quell'epoca, nel 1716, ad opera di JOHANN JAKOB WETSTEIN.
Nonostante l'interesse manifestato da altri importanti critici (JOHANN ALBRECHT, JOHANN SALOMO SEMLER, JOHANN DAVID MICHAELIS, JOHANN JAKOB GRIESBACH, CHRISTIAN FREDERCK MATTHAEI) con le loro dotte dispute sulla latinizzazione, l'origine e la provenienza del codice, ecc., l'effettiva conoscenza pubblica del codice avvenne solo quando l'Università di Cambridge commissionò a THOMAS KIPLING l'incarico di preparare un'edizione economica del codice di Beza ad uso degli studenti ed il Decano di Peterborough fece una trascrizione completa del manoscritto, per la quale gli occorsero ben cinque anni di lavoro, e l'opera venne infine pubblicata in due volumi in folio nel 1793.

Per quanto concerne la stampa, quella del Kipling, fu, per l'epoca, un'opera unica, in quanto i caratteri mobili usati dal tipografo furono predisposti in modo tale da ravvicinarsi il più possibile ai caratteri veri, reali dell'opera stessa, in forma, dimensioni e spaziatura del testo.

Il lavoro del Kipling, rimarrà per il secolo a venire l'opera di riferimento più disponibile ed economica per il codice Beza, sino a quando, nel 1864 non apparve l'opera di FREDERICK HENRY AMBROSE SCRIVENER, che pubblicò una copia completa del manoscritto lionese con introduzione critica, annotazioni, e facsimile del testo, intitolata "BEZAE CODEX CANTABRIGENSIS, BEING AN EXACT COPY, IN ORDINARY TYPE, OF THE CELEBRATE UNCIAL GRAECO-LATIN MANUSCRIPT OF THE FOUR GOSPEL AND ACTS OF THE APOSTLES, WRITTEN EARLY IN THE SIXTH CENTURY, AND PRESENTED TO THE UNIVERSITY OF CAMBRIDGE BY THEODORE BEZAE, AD 1581."

Sebbene, in passato, era stato ritenuto che il codice fosse di produzione del Sud della Francia a seguito della fondazione e per la liturgia delle chiese greche di Lione, attualmente si pensa ad una redazione del sud Italia, perché le annotazioni liturgiche riguardano solo il testo greco e tutte datano tra il IX e l'XI secolo, periodo della massima espansione del Rito Greco in Italia. Le correzioni riguardano principalmente Luca ed Atti e sembrano essere il frutto di un esperto teologo. Il testo latino dipende da quello greco e si discosta da tutti gli altri testi della tradizione testuale latina del Nuovo Testamento.
Il manoscritto è costituito da pergamene e conta 415 fogli di cm. 26x21,5. Il testo è su una sola colonna per pagina, con righe di diversa lunghezza corrispondenti ad unità di senso, onde rendere agevole la lettura durante il servizio cultuale. Il codice contiene solo i quattro Vangeli nel seguente ordine: Matteo, Giovanni, Luca e Marco e pochi versi in latino della 3 Giovanni (vv. 11-15). Risultano perdute alcune sezioni in latino e greco e solo il vangelo di Luca è preservato integro. [3]

Altre particolarità del codice sono date dal fatto che in esso vi sono riportate numerose e significative varianti, sia con omissioni sia con aggiunte, e non solo di parole od espressioni, ma di intere frasi. Ad esempio, in Lc,6 è stato inserito il v.5 dopo il v.10 ed è stato aggiunto dopo il vv.4:

Lo stesso giorno, vedendo un uomo che lavorava di sabato, egli (Gesù) gli disse: Uomo, se tu sai ciò che stai facendo, tu sei benedetto; ma se non lo sai sei maledetto ed un trasgressore della Legge.

Infine il testo negli Atti degli Apostoli è più lungo di circa un decimo rispetto al testo comunemente tramandato e presenta, talora insieme ad altri testimoni del cosiddetto "testo occidentale", alcune correzioni che rivelano un atteggiamento misogino.
La critica più recente assume che, tra i codici più antichi, la Vetus Latina ed il codice Beza siano scarsamente affidabili. Il papa Damaso commissionò infatti una nuova traduzione della Bibbia a san GIROLAMO (384 d.C.) proprio per la scarsa affidabilità della Vetus Latina: lo stesso Girolamo, nella prefazione alla sua traduzione dei quattro Vangeli, osservava come ci fossero quasi tante versioni quanti manoscritti ("tot enim sunt esemplaria paene quot codices"). [4]



Note

[1] OUR BIBLE & THE ANCIENT MANUSCRIPTS - Chapter VII

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[2] Catholic Encyclopedia - Codex Bezae

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[3] Chiesa Evangelica Riformata di Salerno

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[4] La critica testuale e l'edizione critica del Nuovo Testamento

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